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      Il pensiero laterale nel Design Thinking: l’anticonformismo della progettazione

       

      Con l’avanzare del tempo e dei mezzi tecnologici-comunicativi, si ricercano metodi o tecniche d’approccio sempre più SMART, al fine di prestabilire i criteri per la formulazione di una soluzione finale: un obiettivo che deve essere specifico, misurabile, riconosciuto, realistico e con una determinata scadenza. 

      Lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry nel “Il Piccolo Principe”, con la sua narrazione, ci regala eccezionali esempi di un’abilità che i bambini naturalmente possiedono, ma che alcuni adulti hanno bisogno di allenare: la capacità del pensiero laterale o divergente.

      “I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. […] Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata.”

      Nelle classi del FITSTIC McLuhan, durante le ore di Design Thinking, si è affrontato il tema molto interessante e ultimamente così discusso.

      Ma quindi, cos’è il pensiero laterale? Come svilupparlo?

      Spoiler: è un processo per il quale bisogna avere pazienza, siccome non immediato.

      Il pensiero laterale è una skill che permette una modalità di osservazione da “diverse angolazioni“, per un approccio creativo a qualsiasi situazione. Perciò, si ragiona focalizzandosi su delle ipotesi non convenzionali, per una soluzione ottimale ed alternativa.Proprio come tutte le abilità, bisogna quindi allenarla con costanza, cercando di applicarla alle situazioni generali di vita di tutti i giorni, così da farla propria.

      Educare per innovare!
      Con il professore Francesco D’Onghia abbiamo conosciuto, approfondito e messo in atto il concetto di pensiero laterale in vari progetti, negli ultimi due anni
      Nel primo anno, dopo esserci divisi in coppie e ci siamo occupati di creare un portafoglio prototipato, “a misura” della persona a noi assegnata. Abbiamo dedicato interi minuti a conoscerci e scoprire i nostri bisogni, grazie anche l’osservazione del portafoglio altrui. Incredibile quanto possa essere stata un’esperienza intima e profonda; aprire e curiosare nel portafoglio di un’altra persona è come se entrassi nei suoi spazi, tasca nascosta, dopo tasca nascosta (più qualche oggetto portafortuna o foto ricordo). Il portafoglio di una persona e i propri spazi, diventano perciò storie, aneddoti e bisogni.
      Per quanto riguarda il secondo anno, ci siamo invece divisi in gruppi. Ci è stato assegnato il compito di proporre delle modifiche efficaci e utili, al giardino dei ragazzi che frequentano i Salesiani. Siamo riusciti ad interfacciarci personalmente con loro e sedendoci comodamente sui gradini del bar della scuola, tra un sorriso imbarazzato e una battuta per rompere il ghiaccio, abbiamo intrapreso una lunga chiacchierata, per capire quali fossero i loro bisogni o richieste, che fossero consapevoli o inconsce.
      Durante tutte queste ore di lezioni svolte assieme, principalmente pratiche, il professore ha affrontato anche molte nozioni teoriche: per lo più si trattava di questioni interessanti, per noi che ci stiamo affacciando al mondo del lavoro. Ad esempio come, nel progettare, sia importante la costruzione di una nuova cultura dell’educazione che tenga conto di: creatività, immaginazione e senso del possibile. Infatti, è recentemente venuto a galla un forte bisogno di un cambiamento radicale nelle metodologie di problem solving moderne.

       

      Analizzando il contesto

      Attualmente, viviamo in un mondo sempre più caratterizzato da: velocità (di cambiamento), complessità (di sfide), incertezza (nei confronti del futuro). Le soft skills possono sicuramente essere d’aiuto, ma come si sviluppano le competenze per stare “al passo con i tempi”? Domanda difficile, tuttavia il parere di molti esperti è che gli approcci pedagogici standard potrebbero non bastare.

      Ecco come ci si sta avvicinando ad un metodo incentrato sull’action learning, strettamente correlato al learning by doing, nel quale letteralmente si “impara facendo”, mettendo le mani in pasta. Perciò, per poter innovare, è necessario relazionarsi con le persone, trascorrere tempo con loro, entrare in empatia, comprendere i loro bisogni e problemi reali ed esplorare tutto il contesto del progetto con una costante attitudine alla ricerca e occhi curiosi, dalle ampie vedute.

      Il concetto di Human Centered

      Quando abbiamo un problema, tendiamo a chiuderci in una stanza e metterci intorno ad un tavolo, per fare brainstorming. Ma ciò, non permette di focalizzarsi a pieno sulle persone interessate o di arrivare ad una soluzione che sia definitiva.

      Il pensiero laterale, metodo cardine del Design Thinking, diviene quindi la soluzione ottimale, perché si entra in un processo ben definito. Si intercetta ed analizza il problema generale, da questo passaggio iniziale, ne deriva una successiva ricerca, seguita da un’intuizione. Si identifica, così, un problema più specifico, passando poi alla fase di ideazione e infine, a quella di prototipazione. Questa ultima fase, determina una soluzione specifica, che risponde ad un problema specifico.

      Durante tutto il processo è perciò fondamentale l’interfacciarsi con l’altra persona, parlare e condividere. Per questa sorta di intervista che si ha per avvicinarsi al target di riferimento, bisogna tenere a mente determinati consigli che possono rivelarsi utili. Ad esempio, farsi raccontare storie ed aneddoti, fare domande brevi e aperte, notare il linguaggio del corpo e le contraddizioni o chiedere sempre il perchè. Non vi è mai quindi un’immediata e singola proposta come soluzione al problema, ma ci si avvicina ad esso, analizzandolo a fondo, per capire chi e cosa abbiamo davanti e come agire.

      Come approcciarsi al problema

      Questa disciplina si basa quindi su dei concetti fondamentali come: l’essere human centred (empatizzare con le persone), applicare hands-on (forme di conoscenza basate sul lavoro con materiali concreti piuttosto che proposizioni astratte), fare experimentation driven (proporre qualcosa di tangibile all’utente e imparare dai feedback), mettere in atto il guided ambiguity (superare l’ambiguitàdel problema lavorando sul prodotto) e disruptive participation (sessione di gruppo nella quale vi è collaborazione e abilità interdisciplinari, per poter discutere su una determinata proposta).

      Niente è uno sbaglio, pensa lateralmente

      Il pensiero laterale è rivolto a tutti coloro che vogliono migliorare le loro performance, competitività ed efficacia. Per te stess* o per qualsiasi altra tipologia di organizzazione (dalle startup, alle grandi multinazionali agli enti no-profit) che intendono mettere l’innovazione al centro della strategia ed ottenere risultati tangibili.

      Principi chiave per una buona riuscita di un progetto, sono la sinergia e la collaborazione presente tra le persone all’interno gruppo di lavoro che permettono di avere processi rapidi, intuizioni nuove, progetti condivisi. Creare un workflow funzionale, può permettere di concepire soluzioni che creano valore per il cliente e il mercato.

      Niente di tutto ciò però deve mettere alcun tipo di ansia, dal pensare di non farcela alla paura di poter errare, perchè l’importante è creare!

       

      Suggerimento di lettura

      Interiorizzare il pensiero laterale, è un viaggio alla scoperta di se stessi, che va vissuto con curiosità ed attenzione ai dettagli. Come quello che racconta l’articolo di Isabella Amendola.

      Io Lavoro In Corso: ci presentiamo

      Io Lavoro In Corso è il blog degli studenti del McLuhan, corso its formativo della fondazione FITSTIC a Bologna. In questo articolo Marika Mantovani ci presenta il concetto di pensiero laterale nel Design Thinking.

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      Pubblicato da Marika Mantovani il Aprile 19, 2023
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      • Marika Mantovani
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      • action learning
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